Castello Montelifré
Visitare dimore antiche e castelli riveste sempre un fascino unico, ma entrare nell’antico borgo di Montelifré è veramente come immergersi in una poesia di storia, di natura, di fascino, e di architettura.
Giungo a Montelifré in una stupenda giornata di Maggio, dopo aver appena lasciato alle mie spalle il meraviglioso panorama di una delle belle vallate della provincia di Siena,
un’insegna mi guida verso l’ingresso del borgo e non appena varcata la soglia tutto cambia, non ero solo nel borgo di Montelifré ma ero in un magico mondo nascosto che conserva un sapore affascinante di antico.
Una natura coinvolgente ed un retaggio di storia e di secoli che non aveva bisogno di altro per esprimersi perchè era li dinanzi i miei occhi che manifestava con fierezza i secoli di un passato che ha costruito il mondo nel quale viviamo.
Alto all’interno dei due lati dell’arco della porta si erge lo stemma della famiglia di Niccolò che era li pronto ad accogliermi per questo meraviglioso tuffo nella storia.
Niccolò giunge ad accogliermi con un’eleganza di altri tempi e mi accompagna immediatamente in una prima visita dell’antica strada del borgo prima di entrare in quella che è la sua dimora.
Dopo una piacevole chiacchierata, Niccolò, l’erede di una parte di questo magnifico borgo e dei resti del castello, inizia sin da subito a raccontarmi i suoi emozionanti ricordi.
A partire da quel rombo dei motori della Millemiglia che passava proprio li vicino ai suoni delle tanti entusiasmanti feste che si sono svolte tra queste antiche mura.
Sembra di essere in un film ed invece sono i ricordi di Niccolò che poi si adagiano su quel grammofano che allietava i dolci momenti in compagnia di quando durante la festa del Tinaio con la Contessa Paolozzi si danzava e si ascoltava la musica.
Montelifré è sempre stato per Niccolò e la sua famiglia un dolce rifugio, ogni viaggio nel mondo riportava sempre a questa meta, oramai da secoli conosciuta, il borgo di Montelifré.
Ascoltare Niccolò è come sfogliare un libro di storia, perché quella della sua famiglia costituisce un pezzo del passato del nostro paese e dell’importante territorio senese.
Mi racconta anche del suo bisnonno Liutfredo e della consorte Vittoria che aveva deciso far realizzare nel borgo addirittura tre mulini per riportare alla mente l’immagine delle antiche rovine romane.
Ma non posso fare a meno di citare il piacevole racconto di Niccolò con quella sua simpatia affascinante e gentile riguardo la bisnonna che aveva insieme alla sorella un originale nomignolo,
le due sorelle per la loro esile corporatura e per la loro elegante discendenza erano soprannominate “le tazzine” perché fragili ed allo stesso tempo preziose.
L’intero borgo di Montelifré è rimasto intatto come secoli fa perché Niccolò grazie alla sua professione di architetto ha saputo adoperare i necessari restauri per rendere fruibile questo luogo ai nostri giorni senza perdere una sola rima di quella magnifica poesia dei secoli passati.
Visitare il borgo, le stanze, ed i giardini di Montelifré genera un fascino unico e Niccolò sa accogliere i suoi ospiti come solo pochi sanno fare,
eccomi allora ad immergermi nel fascino degli arredi antichi, alcuni addirittura del 400, delle meravigliose anfore dell’Ottocento e degli storici dipinti delle stanze antiche,
uno di questi giunge da Versailles per rappresentare una lontana cugina in Francia della famiglia di Niccolò.
La mattinata insieme trascorre veloce mentre la mia mente sogna i magici momenti che nel passato hanno allietato gli ospiti di questi luoghi ed allora subito Niccolò intinge di nuovo il suo pennello nei ricordi per continuare il racconto dinanzi un gustoso primo di pasta realizzata con un antico metodo di lavorazione della farina di farro.
Tra un boccone e l’altro in compagnia dell’elegante ospitalità di Niccolò giunge il ricordo di quella divertente cena nel borgo per festeggiare la laurea del caro amico Duccio Cavalieri, ma ancor più il sorriso di Niccolò si illumina nel ricordo di quei momenti coinvolgenti con Vittoria, “impossibili” da dimenticare.
Il brio delle bollicine ed il gusto per l’eleganza aveva portato in visita Vittoria, consorte del discendente di quel monaco benedettino, inventore e re di ogni brindisi che si rispetti, alla poetica dimora storica di Montelifré, ed in compagnia dell’intrigante amico designer di Niccolò che era li al borgo.
Che ricordi emozionanti e… scintillanti, le mura e l’atmosfera del borgo Montelifré sono state dunque oggetto di visite persino “sportive” e con tante bollicine come questa di Vittoria, ..per non parlare anche delle bollicine sulle pareti di quell’amico in visita da Firenze con tanta passione per gli antichi arredi!
Ma Montelifré è anche teatro di espressione della grande umiltà che ancora oggi alcuni uomini sanno avere proprio come quella del console americano che non poteva non scegliere il piacere di una visita a Niccolò nella sua antica dimora per una spaghettata accompagnata da ricordi carichi di meraviglia per quel viaggio in Iraq.
Od ancora quello splendido concerto di musica classica con un quartetto ad archi le cui note siglavano l’affascinante lettura del libro di Katia dedicato al grande Genio fiorentino che fu accompagnato alla corte di Francesco I in Francia dal raffinato umanista Giovanni Francesco Melzi.
Eccomi allora ritornare ad immergermi, prima di andar via, negli ultimi aneddoti che Niccolò mi regala in questa giornata, chiudendo gli occhi ed aprendoli ai ricordi di queste terre,
come i ricordi di quella serata nella quale proprio il vino che queste terre rende ancor più affascinanti fu galeotto nelle emozioni e nelle decisioni dettate in effetti solo da qualche bicchiere… perché in quel caso proprio non erano di troppo!
Questo mio privilegiato momento di visita nel magico borgo Montelifré con Niccolò sta dunque per terminare ed un ultimo bicchiere di quell’elisir dorato giunge al gusto in compagnia sul tavolo di quell’intrigante libro scritto dal padre di Niccolò, Aldo Bolognini,
quasi una sorta di elogio all’intelligenza, un anti-romanzo nel quale Asmara, la protagonista cresciuta in una famiglia del Chianti, fa da metafora di quella stessa città eritrea, per spiegare come proprio dal caos apparente si formi per auto-organizzazione quello che non sembrava possibile, l’ordine.
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